Flavio Panteghini in produzione con

JIM E IL PIRATA

Il nuovo spettacolo di Pandemonium Teatro in scena con una prova aperta in occasione della Festa di Primavera 2022

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Si apre il sipario.
Sul palco una scenografia semplice, essenziale, ma d’impatto.
In scena, un attore narratore.
SI prepara a raccontare la sua storia cantando un canto di mare. Un ultimo saluto al porto sicuro, e via.
L’ancora si solleva, gocciolante e piena di alghe.
Le catene cigolano, sciabordano le onde.
Il vento gonfia le vele, e la terraferma è sempre più lontana.
È la storia di Jim Hawkins, un ragazzino che parte per un’avventura. Destinazione? Un’isola lontana e misteriosa, dove giace il tesoro del temibile pirata Flint.
Il bottino di una vita di scorribande.
Durante il viaggio Jim incontrerà personaggi indimenticabili: il nobile dottor Livesey, il bizzarro conte Trewlaney, l’inflessibile capitano Smollet, e soprattutto Long John Silver, amabile cuoco di bordo con una gamba sola, che dietro alla risata fragorosa nasconde più di un segreto. Un’avventura senza tempo, che racconta di mare e di vento, di gioia e di paura, di avidità e coraggio.
Jim scoprirà il valore della libertà e imparerà a fidarsi di chi merita la sua fiducia.
Tra duelli e tradimenti, tra coltelli che volano e vanghe che scavano, tra pappagalli che cantano canzoni di mare e casse da morto, il viaggio di Jim alla ricerca del tesoro diventerà il viaggio di un ragazzo che parte bambino e tornerà uomo.

Ecco un assaggio della nuova produzione in corso, che avrà una primissima occasione pubblica nella FESTA DI PRIMAVERA prevista per il 26 e 27 marzo a Bergamo, al Teatro di Loreto.

C’è un sogno ricorrente che da anni popola le mie notti. Sono da solo, su un’isola misteriosa. La luce della luna filtra tra le fronde degli alberi secolari. In lontananza, frinire di insetti e ruggire di belve. Davanti a me una soglia da varcare. Talvolta è l’entrata di un antico tempio, altre volte il relitto di un vascello dalle vele sbrindellate, oppure una porticina di legno sul tronco di una sequoia così alta che non ne vedi la punta. Rimango davanti alla soglia per un tempo che pare infinito. Poi scaccio la paura, faccio un passo, entro. E comincia l’avventura.

C’è qualcosa di universale, nell’avventura. C’è il saluto a un ordine rassicurante per lasciare posto al necessario caos. Ci sono i pericoli e le prove, gli aiutanti e i nemici. C’è il viaggio verso l’ignoto, c’è la ricerca del prezioso, del sommerso, dell’incredibile. E infine ritorni a casa, ma non sei quello di prima: sei cambiato, sei diverso. Sei cresciuto.

Quando sei bambino, è più facile cogliere tutto questo.
“E nei sogni di bambino, la chitarra era una spada. E chi non ci credeva, era un pirata.”
Così cantava Edoardo Bennato, nella canzone Sono solo canzonette. E come dargli torto? Ogni cosa poteva diventare una spada! I rotoli di scottex, che li arrotolavi stretti e diventano pugnali. Le ramaglie quando il giardiniere potava le piante del giardino: i più duri, katane giapponesi, mentre quelli elastici si trasformavano in fruste, come quella di Indiana Jones. E poi le bottigliette di plastica, quelle verdi erano ottime spade laser…
Quando sei bambino, ogni cosa può diventare una spada. Ma non solo.
Ogni cosa può diventare un’isola, una nave, il mare…
Oppure, una mappa del tesoro.
Una mappa con una X rossa al centro.

Quando ero bambino passavo ore e ore a leggere avventure. Stevenson, certo, ma anche Defoe, Haggard, Twain, Kipling, Verne, Salgari, Tokien, Ende… Li divoravo, i libri di avventura.
Di tutte le avventure, le mie preferite erano quelle con i pirati. Per forza! Cosa potevi volere di più? Viaggi, arrembaggi, tesori da scoprire, sette mari da esplorare, pappagalli, sirene, creature incredibili, personaggi indimenticabili.

E di tutte le avventure di pirati, la mia preferita era proprio l’Isola del tesoro, di Robert Louis Stevenson.
Un capolavoro. Un classico.
E non sono certo l’unico a pensarla così…

“Se devo scegliere un libro, il libro, scelgo senz’altro L’Isola del Tesoro, di Robert Louis Stevenson. Perché è pieno di vento, di immaginazione, di avventura, d’infanzia.”, scrive Antonio Tabucchi. E ha ragione.
L’Isola del Tesoro non è solo un libro d’avventura: è IL libro d’avventura.

Perché, in fondo, è semplice.

Semplice come il puro atto che compie un bambino quando prende un foglio, lo ingiallisce con miscela di acqua e polvere di caffé, e dopo averne bruciato leggermente i bordi con una candela lascia andare la mano, e comincia a tratteggiare coste, spiagge, boschi, montagne… E alla fine, una X rossa al centro.

È semplice, l’Isola del Tesoro. Non è altro che il rito di passaggio di Jim Hawkins, che parte bambino e torna uomo.

Raccontare a teatro l’Isola del Tesoro, per me, significa principalmente questo: raccontare una storia semplice, sì, ma grande, ricca, universale.
Significa parlare di paura e coraggio, della libertà e del suo prezzo.
Significa parlare di padri, di modelli da seguire e poi rifiutare, per poter tracciare la propria rotta. Significa alzare le vele e levare l’ancora alla ricerca di un tesoro che, forse, si trova dentro di noi.

coming soon!